martedì 9 aprile 2013

Marcel Lefebvre: "IL VATICANO II È IL 1789 NELLA CHIESA"...


L'accostamento che ho fatto tra la crisi della Chiesa e la Rivoluzione francese non è una semplice metafora. Siamo veramente in raccordo continuo coi filosofi del XVIII secolo e con lo sconvolgimento portato dalle loro idee nel mondo. Coloro che hanno iniettato alla Chiesa questo veleno lo riconoscono per primi. Il cardinale Suenens esclamava: «Il Vaticano II è l'89 della Chiesa» ed aggiungeva, fra le altre sue dichiarazioni prive di precauzioni oratorie: «Non si comprende nulla della rivoluzione francese o russa se si ignora l'antico regime al quale hanno messo fine... Allo stesso modo, in materia ecclesiastica, una reazione non si può giudicare se non in rapporto allo stato di cose vigente in precedenza». Quello che precedeva ed egli considerava andasse abolito, è il meraviglioso edificio gerarchico che ha alla sommità il Papa, vicario di Gesù in terra: «Il Concilio Vaticano Il ha segnato la fine di un'epoca; e per poco che si vada ancora indietro, ha segnato anche la fine d'una serie di epoche, la fine di un'era»:
Il padre Congar, uno degli artigiani delle riforme, non parlava diversamente: «La Chiesa ha fatto, pacificamente, la sua rivoluzione d'ottobre». Pienamente consapevole notava: «La dichiarazione sulla libertà religiosa dice materialmente il contrario del Sillabo». Potrei citare una quantità di testimonianze del genere. Nel 1976 il padre Gélineau, uno dei capofila del Centro Nazionale per la pastorale liturgica, non lasciava alcuna illusione a coloro che volevano vedere nel Novus Ordo qualcosa di effettivamente un po' diverso dal rito universalmente celebrato fino ad allora, ma nulla di fondamentalmente traumatico: «La riforma decisa dal secondo Concilio del Vaticano ha dato il segnale del disgelo. Intere muraglie crollano... Non ci si inganni: in proposito tradurre non significa dire le stesse cose con altre parole. Vuol dire cambiare la forma... Se le forme cambiano, il rito cambia. Se un elemento viene cambiato, l'insieme risulta modificato... Occorre dirlo senza ambagi: il rito romano come noi l'abbiamo conosciuto non esiste più, è distrutto» (1).
I cattolici liberali hanno veramente instaurato uno stato rivoluzionario. Ecco cosa leggiamo in un libro d'uno di loro, il senatore del Doubs, M. Prelot: «Abbiamo combattuto sull'arco d'un secolo e mezzo per far prevalere le nostre opinioni all'interno della Chiesa e non ci siamo riusciti. Infine è venuto il Vaticano Il e abbiamo trionfato. Oramai le tesi e i principi del cattolicesimo liberale sono definitivamente e ufficialmente accettati dalla Santa Chiesa» (2).
È per la via traversa di questo cattolicesimo liberale che si è introdotta la Rivoluzione; col pretesto del pacifismo, della fraternità universale. Gli errori e le falsità principali dell'uomo moderno sono entrati nella Chiesa e hanno contaminato il clero, grazie a papi essi pure liberali, e con il favore del Vaticano II.
Siccome viene un momento in cui occorre saper rimettere le cose a posto, ricorderò che io non ero contrario al raduno d'un concilio ecumenico nel 1962 ma l'ho accolto con una grande speranza. A testimoniarlo, oggi, esiste una lettera che indirizzai nel 1963 ai padri di Saint-Esprit e che è stata pubblicata in una mia opera precedente (3). Scrivevo: «Diciamo, senza esitazione, che alcune riforme liturgiche sono necessarie e che è auspicabile che il Concilio continui su questa via». Riconosco che un rinnovamento s'imponeva, proprio per mettere fine a una certa sclerosi derivante dal fossato creatosi fra la preghiera, confinata entro i luoghi di culto, e l'azione, la scuola, la professione, la città.
Nominato dal Papa membro della commissione centrale preparatoria, ho partecipato ai lavori con assiduità ed entusiasmo per l'intera sua durata di due anni. La commissione centrale era incaricata di verificare e di esaminare tutti gli schemi preparatori che provenivano dalle commissioni specializzate. Avevo quindi un buon posto per sapere ciò che era stato fatto, ciò che doveva essere esaminato e ciò che doveva essere presentato all'assemblea. Questo lavoro veniva svolto con molta coscienza e precisione. Ho ancora i settantadue schemi preparatori nei quali la dottrina della Chiesa è perfettamente ortodossa e risultava sì adattata in certo modo alla nostra epoca, ma con molta misura e saggezza.
Tutto era pronto per la data annunziata e l'11 ottobre 1962 i padri prendevano posto nella navata della basilica di S. Pietro a Roma. Ma successe un fatto che non era stato previsto dalla Santa Sede: il Concilio, fin dai primi giorni, fu investito dalle forze progressiste. Noi l'abbiamo provato, sentito, e quando dico «noi» intendo la maggioranza dei padri del Concilio presenti in quel momento.
Abbiamo avuto l'impressione che stesse accadendo qualcosa di anormale, e questa impressione ebbe rapida conferma: quindici giorni dopo la seduta di apertura non sopravviveva più neppure uno dei settantadue schemi. Tutto era stato rinviato, respinto, cestinato.
L'operazione andò così. Nel regolamento del Concilio era previsto che occorressero i due terzi dei voti per respingere uno schema preparatorio. Ora, quando si procedette al voto, si ebbe il sessanta per cento contro gli schemi e il quaranta a favore. Di conseguenza gli oppositori non avevano ottenuto i due terzi, per cui normalmente il Concilio avrebbe dovuto svolgersi partendo dai lavori preparatori. Sennonché, allora si mise in luce una potente organizzazione creata dai cardinali delle rive del Reno , con un segretariato perfettamente efficiente. Andarono da papa Giovanni XXIII e gli dissero: «È inammissibile, Santissimo Padre, che ci vogliano far studiare degli schemi che non hanno avuto la maggioranza». Ed ebbero causa vinta: l'immenso lavoro compiuto fu messo nel dimenticatoio, l'assemblea si ritrovò a mani vuote, senza nessuna preparazione. Quale presidente di consiglio d'amministrazione, per piccola che sia la sua società, accetterebbe di affrontare una seduta senza ordine del giorno, senza documenti base? Eppure il Concilio è iniziato così.
Poi ci fu la questione delle commissioni conciliari da nominare. Problema arduo: immaginatevi dei vescovi che giungevano da tutti i paesi del mondo e si ritrovavano improvvisamente insieme nell'aula. Per la maggior parte non si conoscevano, conoscevano appena tre o quattro colleghi e qualcun altro di fama su 2.400 presenti. Come potevano sapere quali fossero i padri più adatti a far parte della commissione del sacerdozio, della li¬turgia, del diritto canonico, ecc.?